Allevi @ Union Chapel, 27-03-2009
Allevi:
Un concerto di pianoforte 'solo' inoltre dovrebbe essere svolto con il minimo attrito anche da parte del pianista , riducendo o ancor meglio evitando del tutto la parola, limitando il linguaggio a quello sonoro del pianoforte. 'Entrare' in un concerto di pianoforte richiede un'immersione psico-fisica nel 'mood' pianistico cosi da poter sperimentare molteplici micro-sindromi di Stendhal, far straripare le sinapsi a fior di pelle per godere totalemente dell'esperienza musicale, nel bene e nel male.
Il concerto di Allevi si è svolto all'insegna di un cabarettismo da operetta, con il pianista a presentare simpaticamente ogni canzone prima di performarla, come se di un mero concerto pop si trattasse. Questo ha impedito qualsiasi sforzo di immedesimazione con il tappeto musicale, anzi, lo stesso tappeto è stato constinuamente sfilacciato e stralciato da questo andamento singhiozzante. La musica ne ha sofferto malamente, con il concerto ridotto ad ascoltare più o meno distrattamente di composizioncine di facile, talvolta facilissimo ascolto, senza però l'effetto di rilassata e malinconica quiete che un album di Allevi di solito offre, appunto se consumato con debità continuità ed attenzione. L'interruzione continua con l'applauso, la presentazione del pezzo, la battuta e la risata del pubblico in pratica agiva come mannaia spezzando ogni volta l'immersione nel 'mood' Alleviano, risvegliandoci bruscamente e fastidiosamente, aumentando costantemente nel sottoscritto un nervosismo crescente.
Il Pubblico:
Un concerto di Giovanni Allevi non è un concerto di Vasco, si suppone che un concert per pianoforte 'solo' implichi concentrazione, raccoglimento, battimani soffuso tra una canzone e l'altra, silenzio e riduzione al minimo del disturbo durante la performance, al limite un frastuono d'assenso alla fine del concerto per l'eventuale richiesta di bis.
Di fronte alla mia orrificata sorpresa, il pubblico di maggioranza, se non totalità italiano, si lasciava andare non solo ad applausi fragorosi ad ogni canzone, ma anche ad urla tipo "Vai Allevi" "Siiiii" "Iuuuuuuuu" e cosi via. Non solo la performance, ma anche la presentazione di una canzone prima ancora che essa venisse suonata, erano in grado di scatenare reazioni scomposte di giubilo. Assistevo attonito alla quintessenza del modo italiano di apprezzare l'arte, ovvero, l'individualizzazione estrema che tralascia l'atto artistico stesso, per esaltare l'artista in sè, a prescindere da cosa faccia, da come lo faccia. O, in altre parole, l'ascolto di un pezzo non come esperienza legata al pezzo stesso, ma piuttosto come momento aneddotico da poter poi raccontare, anche solo a se stessi.
Il pubblico Italiano di norma non segue artisti, segue idoli, si nutre della loro presenza, indipendentemente dalla performance stessa poichè ha già deciso in anticipo che questa sarà grandiosa ed indimenticabile. La capacità critica è notoriamente inesistente, i media campano di celebrazioni, ogni nuovo film, ogni nuovo album, ogni nuova opera di un artista conosciuto è inevitabilmente accolta acriticamente come l'ennesima prova della capacità di quest'ultimo, il cui passato basta ed avanza a giustificare qualsiasi presente. Siamo all'apoteosi dell'entusiasmo preventivo, di gregge o da stadio, che differenza non fa. In questo possiamo situare la tipica piaggeria italiana di fronte all'artista universalmente riconosciuto sottolineata dal giubilo scomposto di massa cosi ben evidente di fronte ad Allevi in un contesto cosi poco adatto a tali manifestazioni di volgare beceraggine (un concerto per pianoforte 'solo' in una chiesa).
In tal senso si può comprendere la simmetrica disattenzione nei confronti dell'enorme sottobosco di talenti che, mancando di riconoscimento ufficiale, sono destinati appunto al sottobosco a vita. Tutto ciò è incredibilmente italiano, questa incapacità di riconoscere e valorizzare talenti (sia nel campo dell'arte che in quello della ricerca e cosi via) poichè la massa ignorante non apprezza il talento in quanto tale, ma solo quello che è stato certificato come talento (fosse anche solo X-Factor a sanzionarlo) e che è stato già riconosciuto come tale a livello istituzionale. Come altro giustificare ad esempio l'ottenebramento di migliaia di talentuosi musicisti dal panorama italiano?
Non voglio certo sostenere che il consumo d'arte, in questo caso pianoforte, debba essere necessariamente ipirato da un distacco empireico. Tuttavia c'è un limite a tutto. Venerdi ho assistito alla bastardizzazione del pianoforte in un prodotto volgare ad uso e consumo di masse bramose di meri virtuosismi su cui aggrappare la propria disperata ignoranza. L'interruzione programmata della musica, l'urlo isterico o del pubblico, il continuo ed immensamente fastidioso scattare fotografie - con tanto di flash - come se ad ogni nuova canzone si potesse avere una fotografia diversa di Allevi al pianoforte, come se la sua postura non fosse comunque sempre la stessa, come se il fulcro di un concerto pianistico sia il catturare infinitamente l'immagine del pianista, fracassando i coglioni dello spettatore al tuo fianco. Questo è lo stesso pubblico che con la bocca piena di fagotti alla frittata esprime stupore ed apprezzamento di fronte al virtuosismo fine a se stesso e poi è si volta altrove quando assiste ad un puro disvelamento artistico. In nessun altro modo potrei descrivere un pubblico in grado di lanciare urli scomposti da stadio anche dopo un pezzo riflessivo come Go with the Flow, un pubblico cosi concentrato nel proprio essere-al-concerto da dimenticare del tutto il concerto stesso.
Non si tratta di mero inveire intellettuale ed elitario, ma di amara considerazione di aver assistito ad un concerto che non era altro che miscrocosmo di un paese ignorante, che agisce e consuma come gregge, in quanto tale privo di conscienza critica che non sia un raglio indistinto di gioia o di rabbia, a seconda di come soffi il vento, che il gregge è sensibile, al vento.
Ben venga Keith Jarrett con la sua antipatica ed idiosincratica condotta che arriva ad interrompere un concerto per un applauso o un flash di troppo. L'esperienza musicale di un pianoforte 'solo' deve essere guadagnata ad un prezzo che non è solo quello del biglietto, ma anche l'aggiuntivo debito di raccoglimento che si deve all'artista, quel surplus di riverenza che sottolinea il suo essere qualcosa di più di un sempice prodotto commerciale, e che non può certo limitarsi all'atto rituale dell'applauso. Approvo Keith Jarrett in pieno. Se non si è in grado di comportarsi come si deve ad una performance del genere, che si venga pure cacciati a calci in culo, rediretti verso più appropriate occasioni d'applauso isterico ed ululato sguaiato.
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6 hours ago