Monday, 14 December 2009

Anno Zero come macchina perfetta del Berlusconismo

L’affermazione non è certo nuova, lo stesso Berlusconi ed i suoi compari sposano a pieno questa tesi. I loro argomenti, però, sono clamorosamente errati. La tiritera che il cosidetto ‘anti-berlusconismo’ sia in verità vantaggioso a Berlusconi è palesemente inadeguata, come i fatti dimostrano. Infatti l’unico periodo degli ultimi 15 anni in cui si è assistiti ad un vero raffreddamento della critica a Berlusconi (il cui appellativo di “antiberlusconicmo’ è un chiaro trick ideologico tramite cui si depoliticizza la critica, caricaturizzandola in semplice odio, antipatia o quant’altro – stesso meccanismo avviene con la definizione “antipolitica”), ovvero durante la sciagurata campagna elettorale Veltroniana, in cui l’ “abbassamento dei toni” è stato cosi assoluto da culminare nel rifiuto addirittura di nominare Berlusconi – ridotto a ‘principale esponente dell’opposizione’ – beh, tale periodo è coinciso con la più grande affermazione di Berlusconi. Insomma, la critica gli dà fastidio eccome, e non è certo che per il fatto d’essere critico Anno Zero fa un favore al Cavaliere. Tuttavia è la struttura stessa del programma ad essere costruita appositamente per favorire la vulgata Arcorea. Questo avviene, prima di tutto, grazie al ritmo volutamente incalzante, rapido e spesso caotico del programma, con elementi continuamente volti ad ad abbassare il livello d’approfondimento, come ad esempio l’ossessivo interrompere l’interlocutore di Santoro, il suo continuo metter fretta, saltare alle conclusioni, impedire insomma d’articolare argomentazioni compiute, specie se si tratta di personaggi non politici – una caratteristica condivisa con i vari Vespa, Floris etc. ma senza dubbio portata all’estremo nel suo caso. Se questo ‘incalzare fastidioso’ è un elemento quantitativo, legato al ritmo televisivo, anche se esasperato, altri elementi qualitativi contribuiscono a superficializzare le tematiche in gioco. Senza dubbio tra questi è la continua ironia sarcastica e vittimista di Santoro. Da una parte, egli gioca continuamente con la questione del proprio martirio bulgaro e dell’eventualità di un prossimo martirio alle porte. Da una parte non sbaglia ad indicare pressioni inusuali che il suo programma riceve. Il problema però non sta nel denunciare rischi e pressioni, piuttosto nel tono quasi sempre ironico, che ha troppo spesso l’effetto di ridurre una discussione importante ad un’amabile conversazione da bar. Santoro si compiace di questa auto-caricatura di ‘eversore’, non rendendosi conto che è esattamente tale potenzialità eversiva che se ne va nel suo consueto vittimismo, che si racchiude poi nell’aporia fondamentale: se è un perseguitato, com’è possibile che abbia una platea nazionale ogni settimana? La spiegazione, a nostro parere, giace esattamente non già nell’essere Anno Zero innocuo, piuttosto nella sua carica depoliticizzante. Infatti, nel suo misto di ironia, sarcasmo, vittimismo e ‘buttarla a ridere’, Santoro manovra abilmente il livello della polemica, sempre attento a raffreddare la portata di questioni potenzialmente spinose – e, si badi bene, spinose non vuol dire questioni da rissa verbale, quelle ovviamente sono abbracciate senza problemi. Per quanto si ritenga eversivo, per quanto abbia uno stile aggressivo, Santoro non va neanche vicino al modo d’incalzare di un Gad Lerner. Mentre quest’ultimo, pacatamente, mette alle strette il solito parlarsi addosso del politico ripetendo o evidenziando domande precise – a cui il politico cerca di sfuggire quasi per definizione – Santoro evita d’incalzare oppure, di fronte alla palese malafede, si limita a rispondere sornionamente con uno sguardo, una battuta, come a dire “so che stai mentendo, lo sappiamo tutti, tuttavia non ti farò fare una brutta figura svergognandoti davanti a tutti”. In pratica Santoro si limita a ‘stuzzicare’ senza mai incalzare il politico, utilizzando l’ironia ed il sarcasmo non come armi dialettiche, ma al contrario come meccanismi di difesa, tramite i quali mettersi in pace la conscienza, evitare la domanda che VA fatta, al tempo stesso placando il personare rimorso per non averla fatta. Meccanismo esattamente opposto a quello del giornalismo anglosassone che proprio sualla domanda insiste, non concedendo facili vie di fuga al politico, ed evitando sdrammatizzazioni che appunto sdevierebbero l’attenzione da un fatto puramente grave: un politico che si rifiuta palesemente di rispondere di fronte ai suoi elettori. Il meccanismo Santoriano si può definire un meccanismo di depoliticizzazione (e quindi sdrammatizzazione), pertanto quintessenzialmente ideologico. Si basa sul traslare la rilevanza politica-sociale-etica di un fatto entro un territorio protetto, quello dell’ironia autommiserativa ad esempio, cosi da depotenziare la potenziale critica. Se queste riflessioni, mancando la referenza diretta ad accadimenti specifici – non ho tempo ne voglia di analizzare sociolinguisticamente Anno Zero – possono sembrare ipotetiche, è possibile indicare almeno quattro esempi in cui tale inscatolamento depoliticizzante di quello che ho definitio come ‘spinoso’ – radicale, puramete politico, polemico, critico etc. – viene materializzato, spazialmente e temporalmente.

- L’anteprima d’Anno Zero è dedicata a dichiarazioni propriamente polemiche di Santoro, che fa il punto della settimana in modo efficacemente serio e diretto. L’anteprima è senza dubbio il momento migliore d’Anno Zero, il momento più radicale e potenzialmente pericoloso per il governo. Esattamente per questo si tratta di anteprima: il polemico, il radicale, il ‘politico’ – nel senso post-strutturalista del termine – è confinato al di fuori del programma stesso, nel tempo (anteprima) e nello spazio, con Santoro in piedi, solo, circondato dall’oscurità, come in uno studio ancora vuoto. Ecco evidente la traslazione del potenziale radicale entro uno spazio sicuro, in quanto breve ed ‘al-di-là’ del programma stesso. Il fatto che per qualche tempo le puntate caricate su internet mancassero proprio dell’anteprima fa, in tal senso, pensare che non si trattasse semplicemente di un errore tecnico

- Travaglio. Il giornalista, di nota vis polemica e una delle ragioni del successo del programma, è trattato in Anno Zero come una specie rara e pericolosa, una sorta di saltimbanco da tener zitto durante la puntata e da far scatenare solo una volta, nell’occasione del suo monologo dove, ancora una volta, esso è precisamente delimitato nel tempo e nello spazio (si alza per il monologo, non resta seduto tra gli altri ospiti, è così eccezionalizzato). In tal senso egli può parlare solo in quanto rinchiuso in questa riserva, in una zona di sicurezza che è il monologo. Il senso di distacco è totale. Travaglio inizia a parlare dopo lo stacco pubblicitario, in un momento prestabilito e non connesso direttamente allo svolgimento del dibattito, senza esser presentato. Ciò che è ancora più sorprendente è che, una volta finito, il monologo stesso è fatto cadere nel nulla. E si badi, non sono i politic a sfuggirne. È lo stesso Santoro, appena Travaglio finisce di parlare, a fare domande o mandare servizi senza riferimento alcuno a ciò è stato appena detto. Addirittura sono spesso i politici, magari criticati direttamente, a riprenderlo con la solita frase “prima di rispondere alla domanda, non posso non commentare ciò che ha detto Travaglio etc.”. Insomma, è come se Travaglio si lasci sfogare, al centro dello schermo, gli si lascia dire tutto quello che vuole, per poi rinchiuderlo in gabbia e tornare alla normalità, senza che ciò che ha detto sia neanche considerato. L’effetto depoliticizzante è totale e si adegua perfettamente alle reazioni dei politici che accusano Travaglio direttamente, piuttosto che sui contenuti, ed in ogni caso ciòavviene SOLAMENTE per loro decisione, senza nessuna pressione di Santoro. In effetti sembra che Santoro voglia far dimenticare Travaglio il più presto possibile (certe volte la cosa è talmente evidente da non poter essere indipendente da qualche pressione aziendale specifica). Nelle rarissime occasioni in cui Travaglio interviene durante il resto della puntata, Santoro è sempre pronto a smorzare la radicalità delle affermazioni del giornalista, spesso, di nuovo, buttandola sull’ironia. Esempio perfetto nell’ultima puntata: Mantovano, sulla difensiva, nega i dati portati da Travaglio: probabilmente son stati pubblicati da Repubblica, dice sarcasticamente; Travaglio, prontamente, fa notare che i primi a pubblicarli erano stati Libero e il Giornale; a quel punto, con Mantovano palesemente incastrato nell’angolo, ecco che arriva Santoro a salvarlo con una battuta, ironizzando sul fatto che Travaglio legga Libero ed il Giornale. Lo studio ride, l’argomento si affloscia, Mantovano non perde la faccia, il dibattito può ricominciare. Il meccanismo, che avviene di continuo, a mio parere ha contribuito ulteriormente a delegittimare Travaglio, ormai presentato sempre come un parolaio di parte, praticamente squalificato dalla categoria dei giornalisti, sistematicamente attaccato dal politico di turno senza che Santoro faccia nulla per difenderlo – e sarebbe tenuto a farlo, quando gli attacchi sono personali e non contenutistici, a prescindere da ciò che Travaglio dice;

- I ragazzi della cosidetta Generazione Zero. Ovviamente fa molto cool invitare i ggggiovani a parlare. Al tempo stesso i ggggiovani possono essere imprevedibili, posso fare troppe domande ad esempio. Ed è per questo che vengono di nuovo intrappolati nello spazio – parlano in piedi dalle tribune - e nel tempo, nel minuto o poco più che gli è concesso. Poi si dissolvono. Perfetto esempio di introduzione ideologica del concetto di interattività entro un talk show politico, ovvero riducendola a semplice cameo: aggiungere un pizzico d’ ‘interattività giovane’ e mescolare...

- Infine, la conclusione con Vauro, il cui intervento finale, a volte in verità divertente, ottiene tuttavia l’effetto di ‘spostare’ ogni aspetto polemico nel più sicuro spazio dell’umorismo vignettistico, anche rischiando di far scivolare le questioni sollevate dalla puntata nella caciara delle risate. Paradossalmente i giudizi più netti, precisi e radicali vengono proprio dalle vignette, tuttavia depurate in quanto tali di ogni valenza politica; (questo è sintomo di una più ampia tendenza di vari programmi in Italia, da quelli politic a quelli sportivi, a mescolarsi nel varietà, perdendo la loro identità ed il loro senso: quando controcampo diventa indistinguibile da una puntata di domenica in, non ha più senso nè per chi guardava il primo, nè per chi guarda la seconda).

Insomma, il meccanismo di traslazione depoliticizzante sembra traspirare da ogni fotogramma di Anno Zero, con l’effetto di depotenziare ogni potenzialità critica ed, in ultimo, pericolosa per il governo. Chiaramente a volte, nonstante ciò, sono i contenuti ad avere una forte valenza critica. Però è il modo in cui vengono incastrati in questo format depoliticizzante a privarli di mordente, renderli innocui. Auto-caricaturandosi e depoliticizzandosi, Anno Zero diventa un contenitore che automaticamente i contenuti e caricaturizza gli attori, dando al governo possibilità di rivendicare libertà di stampa ed opinione – “come fate a parlare di non-libertà di stampa se c’è Anno Zero??”- allo spettatore la simmetrica illusione di libertà, ed offrendo ai politici in genere un comodo bersaglio, nella solita tradizione dell’insultare il dito che indica la Luna, macchiettizzare e screditare il critico evitando accuratamente di rispondere a ciò che sta dicendo.