Bulgaria, Estonia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Romania, Repubblica Ceca, Polonia e Slovacchia.
Ed Italia.
Sono i 9 stati che al momento si oppongono agli obbiettivi di Kyoto, e l'Italia li guida orgogliosa.
Mombiot nel
Guardian si scaglia contro lo short-termism politico, l'attitudine a prendere decisione nel breve termine senza valutare le conseguenze in un arco temporale adeguato, il che è più che mai richiesto in un mondo globalizzato in cui battiti d'ali di farfalle NewYorkesi stanno provocando cicloni tropicali ovunque. Almeno, ci ricorda, in Inghilterra i politici, un buon numero se non altro, stanno comprendendo la necessità di legare climate change e crisi economica, di comprendere sia le profonde interconnessioni attuali, sia l'impellente necessità, di fronte ad un rivolgimento finanziario di tale portata, di riorganizzare il rapporto tra stato, economia e clima. New Green Deal, un'idea neanche tanto radicale ci spiega, visto che lo stesso New Deal originale ebbe, nella grandiosa mobilitazione di tre milioni di persone per il re-impianto di alberi, un passaggio fondamentale che bloccò crucialmente l'erosione del suolo.
Il governo Italiano, di fronte alle accuse di short-termismo, si erge nuovamente a baluardo dell'inverosimile. Non si tratta di incapacità di prevedere e pianificare il futuro, in questo caso c'è difficoltà a pianificare il pomeriggio stesso, impossibilitati come si è a guardare più in là di Palazzo Chigi, spazialmente e temporalmente.
Il ministro dell'Ambiente, S.P. , dall'alto delle sue competenze in materia, propone una clausola di revisione, poi si smentisce, poi dice che la proporrà, poi esce col suo strano sorriso sforzato dagli uffici dell'EU e cavalca le ultime dichiarazioni del Premier, che orgoglioso ci fa notare che i paesi dell'Est stanno con noi. Non Spagna, Francia, Inghilterra, Germania e la Scandinavia, neanche Grecia e Portogallo. No. I paesi dell'Est. E noi. A guidare il gruppo, fieri, a mettere i bastoni tra le ruote di un piano potenzialmente epocale, prima vera presa di coscienza di un problema che occuperà la nostra agenda per i decenni a venire.
Al signor Berlusconi sfugge - non siamo maliziosi, non vogliamo suggerire che venga da lui tralasciato volutamente - che a pagare i danni del cambiamento climato saranno in primis paesi africani in preda a siccità e sbalzi climatici apocalittici, piccole nazioni isolane lentamente sommerse dalle acque, popolazioni povere degli stati asiatici affacciati sull'oceano indiano alla mercè di tifoni sempre più frequenti, etc. etc. Ma no, l'industria Italiana prima di tutto, anche quando tutta l'Europa che conta, o perlomeno l'Europa a cui ci ispiriamo ogni volta che possiamo (avete mai sentito un politico italiano decantare le lodi di un provvedimento Bulgaro o Romeno come esempio da seguire ?) ci indica una via per agire, finalmente agire.
A leggere le pagine dell'
organo di governo appare subito chiara la linea del governo, quella che ci propineranno per i prossimi mesi, la sottile linea mediatica che intreccia e ingarbuglia ogni argomento in semplici dicotomie in cui - per quanto riguarda la UE - apparentemente irrazionali burocrati in Belgio, tra un piatto di cozze ed una birra, decidono egoisticamente di sottoporre l'Italia ad impensabili fatiche, oppure lanciano ridicole accuse nel loro esoterico linguaggio fatto di diritti umani, doveri, causa comune, cambiamento climatico, e cosi via. E' già pronta l'ennesima narrativa del povero italiano-vero di fronte al quale la cupidigia Europea si scaglia, pronta a rubare denaro per un obbiettivo cosi indecifrabile che ancora, in Italia mica altrove, se ne parla col linguaggio delle scuole medie: il cambiamento climatico. Leggere l'articolo del sig. Franco Battaglia è come ritornare indietro di 15 anni, fose più:
Dobbiamo allora risparmiare petrolio, gas e carbone, perché altrimenti finiscono? No, perché non ha senso risparmiare un bene finito. Per esempio: se il petrolio del pianeta finisse fra 50 anni e se l’Italia decidesse da domani di risparmiarlo al 100%, allora il petrolio del pianeta finirebbe fra 51 anni. Dobbiamo risparmiarli perché costano e bruciarli ci impoverirebbe? No, perché è proprio bruciandoli che possiamo trasferire più energia e far fronte alle crisi: è la disponibilità e il consumo di energia, non il suo risparmio, che crea posti di lavoro e, quindi, ricchezza e benessere.
la logica è lapalissiana.Badate bene, si tratta della linea governativa di questi giorni, non certo solo dell'opinione di una macchina fotocopiatrice di nome Battaglia. Ricchezza e Benessere? Il signore è forse a conoscenza delle stime degli effetti del climate change nei prossimi 50 anni? Ne dubitiamo. Le conseguenze di un consumo non dico costante, ma solo insufficientemente diminuito, sarebbero a dir poco apocalittiche. Però la logica di questo governo (lungi da me tessere le lodi di quello precedente, tuttavia...) non guarda certo oltre il proprio orticello, bendandosi come già è stato fatto da sempre circa le possibilità sterminate che avrebbero le energie rinnovabili nel nostro paese. Ma noi d'altronde siamo quelli del Nucleare dell'ultim'ora, quelli che l'orticello prima di tutto, anche a costo di mandare a puttane una compagnia aerea, anche a costo di ostacolare un accordo sul clima di portata storica, anche a costo di azzoppare la già claudicante ricerca.
Eccoci qua quindi, a sostenere il vessillo della politica miope ed egoistica, orgogliosamente insieme alla crème Europea. Già. Never Failing to Impress. Never.