“Ciascuno di noi ha
conosciuto quelle creature che Benjamin definisce ‘crepuscolari’ e incompiute, similia
i gandharva delle saghe indiane, metà
geni celesti e metà demoni. ‘Nessuna ha posto fisso, contorni netti e
inconfondibili; nessuna che non sia in atto di salire o di cadere; nessuna che
non si scambi col suo nemico o col suo vicino; nessuna che non abbia compiuto
la sua età e che non sia profondamente esausta eppure ancora all’inizio di un
lungo viaggio’. Più intelligenti e dotati degli altri nostri amici, sempre
intenti in immaginazioni e progetti per i quali sembrano avere tutte le
qualità, non riescono, però, a finire nulla e restano generalmente senz’opera.
Essi incarnano il tipo dell’eterno studente e del gabbamondo, che invecchia
male e che, alla fine, dobbiamo, sia pure a malincuore, lasciarci alle spalle.
Eppure in loro qualcosa, un gesto inconcluso, una grazia improvvisa, una certa
matematica spavalderia nei giudizi e nel gusto, un’aerea scioltezza delle
membra e delle parole testiimonia della loro appartenenza a un mondo complementare,
allude a una cittadinanza perduta o a un altrove inviolabile. Un aiuto, in
questo senso, ce l’hanno dato, anche se non riusciamo a dire quale. Forse
consisteva appunto nel loro essere inaiutabili, nel loro ostinato ‘per noi non
c’è nulla da fare’; ma, proprio per questo, sappiamo alla fine di averli in
qualche modo traditi”
Giorgio Agamben, Profanazioni, p.31-2
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