Monday 18 May 2009

Al di là della Lega e dell'ONU: Per una Politica Radicalmente Emancipatoria sull'Immigrazione

E’ venuto il momento di una decisione politica radicale in grado di risollevare la società dal torpore menefreghista a cui si è lasciata andare, risvegliato solo da rantoli di intolleranza becera o lamentosi sospiri verso una tollerante etica dei diritti umani. É venuto il momento di abbandonare pietismo, qualunquismo e razzismo, e con essi la concezione duale dell’immigrato come criminale da temere o vittima da salvare. Il momento d'una decisione fondata in un concetto puro di Uomo come soggetto politico in grado di scegliere/accettare attivamente il proprio essere-gettato nel mondo, capace di esserci, sovrano del proprio, inevitabile destino. L’Uomo come soggetto immortale, al di là della carne deperibile e del viscido istinto di conservazione, oltre la tirannia della necessità, oltre la schiavitù dell’odio, oltre le lacrime da coccodrillo dell’attivismo a-patto-che.



Tale decisione deve inevitabilmente emergere dal bisogno di rompere con questa palese incomprensione della natura umana, che ci ostiniamo a percepire come limitata dalla morte, frammentata dai confini, ancorata alla cittadinanza, all’onestà o chissa quale altro status ‘necessario’. Un profondo riconoscimento delle potenzialità infinite dell’Uomo porterà a cancellare una volta per tutte l’insostenibile dicotomizzazione tra l’uomo occidentale e l’Altro (sia che poi lo si voglia uccidere, sfamare, gettare in mare, o ‘comprendere nella sua alterità’ come se fossimo allo Zoo).



La decisione a cui mi riferisco è è quella di eliminare completamente le frontiere, la distruzione completa di quel baluardo su cui ha proliferato il noioso e sanguinario nazionalismo, all’interno, ma anche il culturalismo ‘de noattri’, all’esterno, fatto di brevi viaggi eticamente corretti alla ricerca di un’altro pittoresco quanto basta, o di economica tolleranza, sempre che l’altro si integri, sia onesto, lavoratore, possibilmente fatto a nostra immagine e somiglianza, e a distanza.



A livello geopolitico, questo gesto corrisponderebbe ad una collettiva presa di coscienza dal cambiamento, una fondamentale accettazione della mutazione in atto e quindi della necessità di abbandonare tutti gli sterili tentativi che dalla Lega all’ONU s’illudono d’aggirare la Realtà che eccede già da tempo la loro più o meno ipocrita convinzione.



Basta intolleranza, basta tolleranza. Entrambi gli atteggiamenti presuppongono un soggetto attivo che tollera o intollera, ed un soggetto passivo, ricevente della relativa cattiveria, bontà o giusta retribuzione, a seconda del vento.



Smantelliamo una concezione di frontiera marcia, che più la si rafforza più s’impudridisce e che è inevitabilmente macchiata dal peccato originario. Non si tratta semplicemente di accettare l’immigrato poichè gli sconvolgimenti che avvengono nel suo paese derivano da un processo idi crisi nsostenibile in cui lo zampino occidentale è più che marcato fin dal passato coloniale al presente multinazionale. Vero, ma troppo facile. 'Accettare’ impone ancora una volta un noi e loro, un ‘accettante’ e un necessariamente riconoscente ‘accettato’. Basta illudersi, con gli occhi umidi, d’ aprire le porte al trovatello del sud, consci (quale presunzione!) di portare le colpe della sua fuga dalla povertà e/o guerra, paternalistici e benevolenti, col cuore che si riscalda e la coscienza che per un attimo si placa. Troppo facile, più facile ancora del Leghismo impudente che almeno scivola coerente dal terrone all’immigrato per poi probabilmente tornare di nuovo al terrone, perche se razza padana dev’essere, che essa sia.



No, l’unica cosa che dobbiamo accettare è che una realtà è finita, dopo decenni di crolli il modello è definitivamente morto, non solo geopoliticamente ma anche socialmente. La nostra vita com’era non è più sostenibile, nonostante i tentative disperati di sigillarla dall’interno con intollerante calcinculismo o umanitaria benevolenza. Il puzzle si è definitivamente fuso. Stiamo assistendo ad una società che si illude di continuare a buttar l’acqua fuori dallo nave mentre il mare entra inesorabile dagli squarci nello scafo. L’azione, che esso sia leghista o umanitario, di rallentare l’affondamento attraverso respingimenti o ‘adeguati controlli per stabilire chi possa entrare in italia e chi no’ corrisponde all’ennesimo tentative di ri-imporre una dicotomia da sempre fittizia, oggi più che mai accettabile.



Ogni volta che si definisce l’altro come vittima o comunque "destinatario" di qualcosa, diventa necessario distinguere ulteriormente tra chi merita questo qualcosa e chi no, per chi il bastone e chi la carota. Tutto ciò è sbagliato dal principio. Ciò è visualizzare l’altro come necessariamente vulnerabile, una ‘nuda vita’ priva di alcuna soggettività politica, una creatura alla nostra mercè, che noi ci arroghiamo il diritto di definire. Il destroide turpe ed incarognito combacia col sinistroide ispirato da giustizia sociale fai-da-tè ed il cristiano pieno d’amore per per il prossimo, tutti condividono il peccato originale nella convinzione che il paradiso terrestre sia crollato, che l’uomo sia finito, e che rimaniamo noi a portare la croce, o la spada, che differenza non fa. Solo accettando la superiorità dell’Uomo, la sua immortale raison d’etre potremmo dirigersi verso una svolta radicale, emancipando la nostra società dal suo peccato etnocentrico originale, così come dalle sindromi ossessive che la soffocano. Solo una svolta del genere potrebbe essere veramente “umanitaria”, poichè si rifiuterebbe finalmente di valutare gli individui in base alla provenienza, alle azioni, alle carte, distruggerebbe finalmente quello scarto originale tra nascita e nazione che finisce per inchiodare l’ideologia dei diritti umani alla mera difesa delle varie nazionalità. Finirebbe l’ipocrita valutazione dell’immigrato che merità di entrare e quello che non lo merita, di chi va ‘respinto’ e di chi va ‘accolto’, come se ci fosse una, dico una ragione in grado di giustificare il ruolo che ci arroghiamo di grandi selezionatori. Una rivoluzione umanitaria che si illude di perseguire il ‘bene’ all’interno di un sistema ancorato alla ‘necessità’ è destinata a peggiorare la situazione che cerca di migliorare.



C’è bisogno di una fine del comune appellarsi ad un’etica condivisa, e del comune inorridirsi di fronte alle eventuali anti-eticità. I proponenti di un sistema che pretende per individui nati altrove delle ‘condizionalità’ speciali è un sistema destinato a fallire, e i diritti umani non riescono – in quanto ideologia basata sulla dicotomia tra noi e loro, e sulla separazione tra l’uomo e il cittadino (col conferimento dei diritti a quest’ultimo) – a venir fuori da questa impasse. É fin troppo semplice lasciare 50 centesimi all’elemosinante di turno e sentirsi a posto. É troppo semplice pretendere, illuminati da un’altra coscienza umanitaria, che gl’immigrati non debbano delinquere ma piuttosto ringraziare, alloggiati lontano dalla nostra vista, possibilmente senza pisciare nel giardinetto di sotto. Di fronte all’intolleranza che monta, a cosa serve ribadire i valori dell’accoglienza e della tolleranza, dei diritti umani e del cristianesimo, se poi li si subordina ancora una volta al possedere ‘le carte in regola’, all’avere ‘un valido motivo’, all’essere ‘al di sopra d’ogni sospetto’, all’avere ‘la fedina penale pulita’, all’essere bravi, buoni e possibilmente invisibili.



É ovvio che non possiamo gettare la gente a mare. Però non dobbiamo salvare le ‘povere vittime del terzo mondo’, finiamola di crederci tanto superiori da poter dispensare odio o amore a seconda dell’umore. Dobbiamo salvare noi stessi dal vicolo cieco in cui le dicotomie fittizie dell’ideologia umanitaria ci hanno incastrato, impedendoci di arginare adeguatamente il razzismo incalzante. L’uomo del terzo mondo non è migliore ne peggiore di noi, non è vittima nè carnefice, non ha bisogno di nessuna comprensione, elemosina e tantomeno compassione, vuole solo ascoltare ed essere ascoltato, come noi, esattamente come noi. Seguendo Badiou, è ora di chiudere con la cultura della differenza, dell’altro, del relativismo culturale, e finalmente comprendere la profonda uguaglianza, l’inesistenza della differenza di fronte al valore assoluto dell’Uomo.



Ecco perchè dobbiamo distruggere le frontiere, non per pietismo o calcolo politico, ma perchè esse ci impediscono di comprendere la nostra Potenza ed Immortalità, alimentano la nostra falsa autocommiserazione d’esseri fragili che traspare nel discorso politico e popolare sull’immigrazione, d’ovunque esso venga.



Certo, si dirà che tale proposta manca di qualsiasi realismo politico e che porterebbe al puro caos, che il nostro paese affonderebbe nell’incapacità di accogliere la massa migrante, che le strade si annerirebbero di paura e miseria, ecc. ecc. Tanti bei discorsi che vengono da destra a manca, decorati di bella dialettica e tanta ragionevolezza, e che nella maggiorparte dei casi pretendono di porsi come eticamente giusti. Di falsa etica si tratta però, un’etica ancorata alla ‘necessità’ (l’economia, la sostenibilità, il territorio, la sicurezza), un’etica vigliacca che si autoalimenta e autoavvalora senza sosta, ma che è fallace e destinata a disgregarsi, e la contemporanea rinascita fascistoide non fa che confermarlo.



Dobbiamo guardare con sospetto le proposte politiche che propongono il cambiamento senza cambiamento, lasciando il sistema preesistente intatto, che sperano di contenere la forza progressiva entro i confini della necessità, della sostenibilità e della convenienza.



La sola azione politica accettabile è un’azione puramente radicale ed emancipatoria, una che punti a ‘cambiare’ il sistema, a rivoluzionarne fondamenta e coordinate. Per questo si tratta di azione necessariamente coraggiosa e rischiosa, azione la cui potenzialità radicale nè impedisce una visualizzazione chiara ed un’accettazione razionale all’interno dei confini del sistema presente. Distruggere una volta per tutte la logica di frontiera è un’idea che, dalla prospettiva della nostra realtà attuale, sembra folle, utopica (forse distopica) e comunque non realistica, irrazionale ed irrealizzabile. Questo non deve però scoraggare, dal momento che, per definizione, una proposta veramente radicale ed emancipatoria, cioè puramente politica, non può essere compresa appieno entro il sistema che si prefigge di cambiare. L'idea della rivoluzione francese, dopo secoli e secoli di stabile dominio monarchico, al francese medio del 1788 sarà sembrata nella migliore delle ipotesi una magnifica trama per un romanzo, un’idea che però mancava di tutte le condizioni di fattibilità entro il sistema vigente. Proprio perchè a cambiare tale ‘sistema vigente’ essa mirava, non ad applicare accorgimenti sostenibili alla monarchia cosi da renderla più accettabile, sostenibile, sensibile allo scontento delle masse. No. La rivoluzione francese puntava al cuore del sistema, e per questo fu possibile comprenderla solo al momento della sua eruzione, quando le coordinate del passato crollavano sotto i colpi del cambiamento.



Questa è politica emancipatoria, al di là del bene e del male, e simile impeto necessità un’azione radicale di smantellamento della frontiera come baluardo fisico, sociale, politico e culturale, verso una nuova configurazione dal futuro incerto ma, poichè nascente dalla distruzione delle logiche esistenti, dal potenziale illimitato. L’alternativa è continuare a tentare di svuotare la nave che imbarca l’acqua con un cucchiaino, con urla o sospiri, verso un inevitabile affondamento. 

Tuesday 5 May 2009

B&B

Nel 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Marx spiega come, nonostante la missione di Bonaparte consistesse nell’assicurare l’Ordine Borghese e quindi nel perseguire gli interessi della classe media, egli, in quanto leader, doveva al tempo stesso ergersi al di sopra degli interessi particolari, così da non rimanere imprigionato nel ruolo ristretto e pericoloso di rappresentante di una sola classe. In quanto leader egli avrebbe dovuto porsi fuori, al di sopra delle classi. Zizek (Contro i Diritti Umani) suggerisce che il modo in cui ciò potè avvenire consistette, paradossalmente, nel porsi alla guida di una classe particolare, “per la precisione, di quella classe che non è sufficientemente strutturata per agire come un agente unitario che richiede rappresentanza attiva”. Questa classe era la massa di contadini diseredati che vivino in condizioni di vita simili, senza tuttavia “entrare in relazioni articolate l’uno con l’altro. Il loro modo di produzione li isola l’uno dall’altro anzichè riunirli insieme [....] Sono quindi incapaci di far valere i loro interessi nel loro nome, sia attraverso un Parlamento che una Costitutuzione. Non possono rappresentare se stessi; debbono farsi rappresentare. Il loro rappresentante deve in pari tempo apparore loro come il loro padrone, come un’autorità che si impone loro, come un potere governativo illimitato ...” (Marx, ibid.). In questo Zizek trova la chiave paradossale della rappresentanza populistico-bonapartista, che per essere al di sopra di tutte le classi deve rappresentare la classe incapace d’agire come agente collettivo poichè troppo povera e al tempo stesso disgregata (al contrario del proletariato di fine Ottocento).

Il comando di Berlusconi presenta la stessa struttura populistico-bonapartista. Egli si fonda su di una massa di Italiani incapace di unirsi come agente collettivo. Tale non-classe non condivide lo stessa sorte lavorativa, non stiamo certo parlando di contadini diseredati. Anzi, non ha necessariamente affinità in senso materialistico. La comunanza tra questi individui è più sottile e giace al livello culturale della scorrettezza politica. Si tratta della massa dei furbi, insofferenti delle regole, razzisti, intolleranti, nostalgici, egoisti, arrapati, maschilisti, la proverbiale ‘maggioranza silenziosa’, la scorretta italianità media. Tale maggioranza di fatto, però, manca di una sufficiente strutturatezza che le permetta di porsi come agente unitario. Essa è una non-classe trasversale negli interessi, negli usi e nei costumi, accomunata solo da una furberia condivisa, dalla scorrettezza, dall’intolleranza, quindi da un qualcosa di politicamente inaccettabile, impossibile (almeno fino a ieri) da rivendicare pubblicamente. L’incapacità per questa classe di formarsi come agente collettivo comune e far valere esplicitamente i propri interessi si fonda nella palese illiberalità, illegalità, incostituzionalità di quest’ultimi, che sebbene trovino multipli sbocchi nelle mille feritoie della politica italiana, ancora mancavano di qualcuno in grado di rivendicarli totalmente, al punto d'incarnarli.

Berlusconi emerge in quanto rappresentante di fatto di tale non-classe, l’unico che con la sua preponderanza, col suo ‘eccesso osceno’ di potere è in grado di unificarla idealmente e letteralmente, dal momento che– attraverso le sue decisioni politiche, le sue dichiarazioni, il suo comportamento e la sua torbida storia personale – egli è un avallo vivente alle velleità di questa massa, è il megafono che essa aspettava. Meno grezzo ed estremo della beceraggine leghista, egli è vero Bonaparte per la maggioranza scorretta degli Italiani, che trasversalmente lo vota perchè in lui si vede prima di tutto giustificata, realizzata.