Monday 27 September 2010

il vento fa il suo giro - Giorgio Diritti (2005)

Il vento, i respiri che si condensano nell’aria frizzante della valle del Monviso, panorami di possibile elezione, di claustrofobica chiusura, come l’aria di chiuso appunto che si respira nelle cene, luce tenue e legnosa, testa sul piatto, poche parole brusche, sicure, taglienti.

Un ‘forestiero’ in questo contesto è come un sasso infangato in uno stagno, smuove ed intorbidisce le acque, ma non è lo smottamento ad esser problematico, in esso vi è l'euforia del nuovo, il paese che accoglie in fiaccolata la famiglia del francese, gentilezza ed altruismo a profusione. Problematico è il riassestamento, ritorno all'equilibrio, l'equilibrio famelico della comunità, dell'integrazione.

Philippe arriva come gettato nella lenta routine montana, corpo estraneo per eccellenza, le capre, la sua moglie pericolosamente attraente, e lui, pensatore più o meno libero, allergico alle totalizzazioni, sospettoso del lato asimmetrico della tolleranza e dell'oppressione degli schemi prestabiliti, convinto assertore della necessità della follia 'ogni tanto', ricercatore di alterità e pace, destinato all'ingenuo fraintendere la vastità delle montagne, delle valli e dei pascoli scoscesi, una vastità spaziale che - errore fatale! - pretenderà essere anche licenza di spaziare, col pensiero e con le capre.

Il villaggio è uno di quelli che muore, lento, di sete e solitudine, di fronte all’immensa poesia delle Alpi, poesia che non riesce più a sopportare. Sommerso dalle nuvole di un passato che sembra remoto, l'epica narrazione dell'evento 'fondativo', la spontanea condivisione di sforzo, rischio e fatica che spinse gli abitanti durante la guerra a trasportare e nascondere il fieno di chiesa in chiesa, da valle a monte, allontanandosi dalla macchia nera tedesca che s'avvicinava. Un 'comunismo' di guerra di cui ormai il ricordo permane in riti e superstizioni vuote, o in coloro che il paese l'hanno abbandonato. Oggi, ad accogliere il francese, è invece un paese dal liberismo 'spaesante', in cui anche il più inutile, trascurato pezzo d'erba è difeso dall’intrusione del forestiero e delle sue capre, poichè la proprietà privata è sacra, anche se di prato dormiente, costone di monte dimenticato, si tratta.

Il francese è sincero ma distratto, tranquillo ma diverso, ed inevitabile l'escalation di sospetti, pettegolezzi, dispetti e tradimenti. La sua pop-filosofia s'imbastardisce a poco a poco assieme alla sua speranza, negli anfratti umidi delle stalle, nelle malelingue contagiose di un paese in via di putrefazione, come la carcassa del maiale che Philippe abbandona in una scarpata, gesto stupido e noncurante che infetta irrimediabilmente la valli, i pascoli, forse il latte delle mucche, sicuramente le coscienze del paese. Putrefazione incontra putrefazione, è come se due essenze si intersecassero nella figura del maiale, il francese come corpo estraneo infetto da dover in qualche modo espellere, il paese come corpo comunitario putrefatto, da dover in qualche modo purificare.

La cinepresa segue gli eventi silenziosa, quasi cine-verità, docu-fiction, attraversa i linguaggi sovrapposti, italiano, francese, e soprattutto la loro sublimazione nell’occitano, sordo e monotono ma con scarti improvvisi, come capra di montagna.

La festa di paese è una scena a sé, con i contorni d’un sabba. I tradimenti avvengono con modalità attese ma al tempo stesso strane, con conseguenze che non sembrano toccare in pieno i protagonisti maschili, specie Philippe, sempre più assuefatto, rassegnato a dover giocare la propria parte, a dover guardarsi imbruttire nelle parole e nei gesti. Intanto le processioni e i funerali di paese si svolgono con la solita, comica e burocratica pomposità. La cinepresa è anch'essa in processione, segue capre e maiali come uomini e bambini, si infila insieme alle macchine sotto le gallerie nella speranza di uscire altrove. In un momento etereo, la macchina da presa lascia gli officianti al funerale e si dirige fuori, lenta, quasi sospesa, come cercar l'aria.

L’aura fa son vir. Il vento fa il suo giro, ti intrappola, ti spezza, e tutto resta uguale, ristabilire l’equilibrio dopo la crisi, solo questo conta infine, espellere il corpo estraneo, mantere l'equilibrio della putrefazione comunitaria, anche a costo di dover eliminare gli ultimi grumi di vita che la minacciano dall'interno, estrema auto-purificazione per mezzo di sacrificio: e così sarà l'immancabile 'scemo' del villaggio ad impiccarsi perchè soffocato da tanto fetore, mentre la famiglia francese e le sue capre si spostano, forse, ad infestare un nuovo paese, inconsapevoli virus in un mondo di pervasiva xeno-phobia...

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