Friday 18 April 2008

Fair-play, interessi e parole


Interessi

Dice Marco Travaglio che la causa principale della sconfitta, o almeno quella che emerge piu' decisamente dalla palude dei molteplici motivi che ci hanno portato al Berlusconi-tris, sia l'insistenza del PD sul fair-play.

Sono d'accordo. L'errore madornale è stato pretendere di contrastare Berlusconi sul piano della politica pura, delle leggi, dei provvedimenti, dei programmi. Un confronto tra statisti insomma, che non poteva che vedere la sinistra perdente, se non altro per la fresca esperienza deprimente del governo Prodi dove, seppur nella virtuale impossibilità di far valere una maggioranza in grado di varare politiche radicalmente innovative, è mancato pure il mero tentativo, la minima pretesa di provare a cambiare le cose, se non altro in tema di diritti sociali, conflitto d'interessi e cosi via.

Non si tratta di fair-play pero'. Non è fair il celarsi dietro al ruminare politico, evitando di sollevare i temi che dovrebbero esserlo, ovvero l'illegittimità della candidatura di Berlusconi per un chiaro, enorme, madornale conflitto d'interessi. E’ un grave errore, poichè è il nodo cruciale del dibattito. E’ inutile abbarbicarsi in discussioni su tassazione, sicurezza e politica estera.

Un paese in cui il cittadino non è libero di essere informato in un modo pluralista e bilanciato è un paese che già non puo’ definirsi democratico. Ma un paese in cui il personaggio che monopolizza l’informazione (di fatto impedendo il pluralismo) è anche colui che puo’ candidarsi premier, è un paese indegno. E’ inutile ricalcare il solito discorso su come in nessuno stato europeo, nordamericanoecc. Berlusconi non potrebbe concorrere nemmeno per l’elezione di sindaco comunale?

No, non è inutile. Questo piuttosto è il messaggio che è definitivamente passato, la tipica, italianissima accettazione dello stato delle cose. Il conflitto di interessi si è perso nell’ambito della mitologia, ridotto al livello di teoria cospiratoria sollevata da politicanti astiosi che avrebbero perso il contatto con la realtà. La sinistra ha accettato questa interpretazione, evitando coscientemente di sollevare il problema per tutta la campagna elettorale, un problema che pero’ non ha a che fare con la piu’ o meno qualificata abilità di governare un paese, ma piuttosto con la vera e propria legittimità a farlo. L’obiezione comune (La sinistra non ha mai fatto una legge a riguardo) è ridicola. Essa si rivolge contro l’inefficienza ed incapacita di una parte politica (ovvero solleva una legittima critica riguardo all’abilità e la coerenza della sinistra stessa ) tuttavia pretendendo di tralasciare il fatto in questione, l’ineleggibilità stessa di Berlusconi secondo le garanzie che un sistema democratico debba avere.

Non si tratta di discorsi vuoti. La tradizione democratica che abbiamo scelto di seguire ed a cui ci ispiriamo assieme all’Europa intera si basa su delle safety-net, delle reti di salvataggio concepite per impedire la deriva della democrazia . Il conflitto d’interessi è il criterio principe del sistema democratico, quello che tutela il bene comune dal rischio di incancrenirsi nell’interesse privato. Non si tratta quindi di un provvedimento particolare, bensi’ di una precondizione generale.

(in questo senso, difendere Berlusconi sostenendo che la sinistra, dopo tutto, non ha mai fatto una legge a riguardo equivarrebbe a difendere un ladro di macchine sostenendo che il proprietario dell’auto, dopo tutto, si è sempre ostinato a non dotarsi di un sistema d’allarme. O ancora, sostenere le qualità di Berlusconi per governare il paese nonostante il conflitto d’interessi equivarrebbe a sostenere che un calciatore debba giocare la finale di campionato perchè con le sue qualità la vittoria sarebbe assicurata, tralasciando il fatto che è stato espulso in semifinale e pretendendo che le sue doti personali gli diano il diritto, squalifica o non squalifica, di giocare lo stesso. Infine, contrastare il conflitto d’interessi sostenendo che si tratterebbe di una legge ad personam nei confronti di Berlusconi, equivarrebbe a sostenere che la squalifica di tale calciatore sia un complotto della squadra avversaria dovuto appunto alla sua classe, fortemente temuta dagli opponenti. Al contrario, lungi dall’essere una legge ad personam, la legislazione del conflitto di interessi servirebbe esattamente ad impedire sia che Berlusconi, ma anche che ogni altra persona in futuro, possa trarre vantaggio dal proprio potere (informazionale, industriale, miltiare ecc) per ottenere quello politico, e che allo stesso modo possa sfruttare il potere politico per rafforzare il proprio potere.

Mancare di sollevare questo tema e di battersi strenuamente per esso non è fair-play. Moralmente è ignavia. Strategicamente è una tattica ottusa che si è esplicitata in tutta la sua controproducenza. Per conludere, è ed è stato completamente inutile sforzarsi di mostrare la differenza programmatica tra il PD ed il PDL. Il primo tema che un partito responsabile avrebbe dovuto sollevare e sostenere, è quello dell’illegittimità del capo del PDL di governare. Oggi il Financial Times propone ironicamente un esercizio mentale. Provate a lasciare tutti i possedimenti, industriali, mediatici ecc. di Berlusconi, (potremmo anche aggiungere tutte le sue vicende giudiziare e quelle dei sui strettissimi collaboratori). Ora sostituite Berlusconi con Brown, la Merkel, Zapatero, anche Sarkozy e perfino Bush. Provate a immaginare questi leader, nei loro paesi, con l’equivalente del potere mediatico di Berlusconi. E’ un buon esercizio, e richiede immaginazione, quindi dovrebbe funzionare anche su chi si è volontariamente bendato.

Parole

Un elemento finora volutamente tralasciato, da aggiungere al conflitto di interessi ed alle vicende giudiziarie (sulle quali non ci soffermeremo) è il peso delle parole che Berlusconi ed il suo partito, assieme alla Lega, hanno sulla vita politica e civile dell’Italia.

Cio’ che traspare evidentemente da centinaia di frasi, discorsi ed esclamazioni e uno sprezzo diffuso per le istituzioni. Esso è in verità molto piu' grave di quello che il solito discorso ha-un-linguaggio-pittoresco-ma.. vuole farci credere. Fucili e scioperi fiscali, frasi avventate seppur smentite dopo poche ore, o minuti, non sono affatto innocui inciampi che poi, per il fatto di non concretizzarsi nei fatti o di essere ritrattati, vanno dimenticati. Vale il contrario piuttosto. Nella sfera politica postmoderna (parola trendy ma ciononostante adeguata) le parole pesano come macigni. Il pubblico interiorizza, piu' o meno inconsciamente, questi messaggi tutt'altro che subliminali che implicano distacco , disinteresse e disprezzo nei confronti della società civile, dello stato di diritto, ed in ultimo pure dell'etichetta e del buon gusto.

Sostenere che si è data la candidatura a Ciarrapico per aver il supporto dei suoi giornali è non solo disgustoso per il fatto che il fascismo dichiarto del suddetto non conta nulla nei criteri di scelta di un senatore della repubblica, ma molto di piu' per la nonchalance con cui si confessa, non senza arrogante pragmatismo, che i giornali sono solo pedine in mano dei politici, e che le candidature altrettanti tasselli nel gioco elettorale. Il concetto di indipendenza della stampa, cosi come quello che vorrebbe che la scelta delle candidature venga guidata da criteri di responsabilità sociale connessi alle qualità politiche ed etiche del prescelto, vengono non solo calpestati, ma tale menefreghismo viene pure candidamente ammesso, rivendicato o addirittura utilizzato come scusante per raffreddare polemiche nascenti (Altrove sarebbe stata benzina sul fuoco, in Italia era dimenticato nel giro di 36 ore).


Tacciare Mangano di eroismo, con una logica coincidente con quella della banda criminale, ad esempio della Mafia, in cui chi sta zitto è un eroe e chi parla un infame, è non altro che avallare quella logica tipicamente Italiana che vede lo stato come il nemico, la trasgressione della legge come la norma, il trasgressore come un furbo che va tutelato con l'omertà complice della comunità, l'osservatore delle leggi come uno sfigato ecc.

Il suggerire la possibilità delle dimissioni del capo dello stato per riequilibrare il peso politico delle cariche istituzionali, anche se ritrattato (tra l’altro in modi a dir poco ilari, con la formula “ipotesi di scuola”, che non spiega nè giustifica nulla), sostiene la logica della lottizzazione istituzionale; anziché combattere un sistema marcio e prima causa del declino politico lo ribadisce, arrivando a volerlo applicare fino a dove nessuno aveva ancora osato, la figura del presidente della repubblica, super partes per definizione.

Gli esempi sono molteplici, per lo meno uno al giorno, per non parlare della Lega, che tutti oggi si affrettano a definire partito serio, radicato nel territorio (radicato lo usano proprio a tutti) e specchio di una grande fetta d’italiani. Tralasciando fucili, xenofobia e urina di maiale sul terreno adibito alla costruzione di moschee, gesti di cui si rendono protagonisti non militanti esaltati ma piuttosto futuri ministri. Il messaggio è il piu’ lontano possibile da una logica di solidarietà, riconoscimento (vedi Taylor, The Politics of Recognition) e reciprocità che dovrebbe essere alla base non solo di valori atei come i diritti umani, ma anche del messaggio cristiano stesso, quello di cui tanti fanno bandiera quando si tratta di aborto, gay ed eutanasia, ma nessuno poi rivendica quando i valori di solidarietà, tolleranza ed accettazione del prossimo, del diverso, vengono attaccati direttamente da partiti di governo.

Si sente tanto parlare di come la politica sia lo specchio della società, si parla molto meno di come i messaggi continui che un certo tipo di politica (ovviamente non si vuole assolvere totalmente la sinistra, ma in questo caso la bilancia non puo’ che pendere dall’altra parte) offre alla cittadinanza sedimentino le premesse per una futura società basata sull’odio, sull’intolleranza, sul reciproco sospetto, sulla sfiducia, sulla mancanza di altruismo, sull’assenza di spirito di sacrificio, sul non rispetto delle leggi, sulla preponderanza dell’interesse primvato sul bene comune, eccetera eccetera.

Le parole pesano piu’ che mai nella società dell’informazione. Le parole plasmano i modo di pensare, al di la del contesto specifico in cui sono dette, dello scopo con cui sono utilizzate. Certe idee vengono lentamente digerite, internalizzate da una comunità che, un po’ stanca, pigra ed ignorante, manca della motivazione e di una adeguata varietà di prospettive per poter giudicare criticamente.

Se la ripresa Italiana va costruita attorno ad un rinnovato senso civico comune e quindi un rispetto condiviso di valori (sia che essi siano puramente cristiani o laicisticamente orientati ai diritti umani), la riemersione di questa classe politica promette di risucchiare gli ultimi soffi di apertura entro il gorgo dell’egoistico disprezzo, della barricata menefreghistica.

Derrida, parlando di identità Europea, sosteneva la necessità di riconoscere l’apertura dell’identità nazionale cosi come di quella individuale, la non-fissità ed incompletezza del progetto identitario di ogni singolo ente, sia esso uno stato o una persona. E pertanto il bisogno di aprirsi, accettare l’altro, rinunciare ad una chiusura che tenti di reificare una falsa unitarietà, ma piuttosto comprendere il carattere dialettico e negoziato di ogni costrutto identitario, e con esso la profonda necessità, filosofica e di rimando sociologica, di aprirsi all’Altro, di abbattere quello spettro che minaccia da sempre un puro cosmopolitismo, ovvero la Paura dell’Altro.

Durante questa campagna (e non solo) i nuovi partiti di governo non hanno fatto altro che erigere, attraverso le parole, nuovi steccati, nuovi falsi idoli di compattezza, completezza ed autosufficienza, non solo ostacolando qualsiasi percorso di apertura globale dell’italianità, ma anche frammentando internamente la stessa idea di civiltà, schizofrenicamente, baldansosamente, condannando l’Italia ad un futuro molto poco rassicurante.

Una riflessione su questo, al di la’ del solito giochino destra-sinistra, sarebbe piu’ che mai richiesta. La stampa tuttavia (l’attore che dovrebbe farsene carico) sembra rinunciarci in toto. Anche questo è un fatto molto poco rassicurante.

2 comments:

Anonymous said...

Non mi piace commentare pubblicamente..sti blog mi fanno sentire spiata..si si hai completamente ragione su tutto. Hai sintetizzato quello su cui si discute da sempre..legittimita', conflitto di interessi, rassegnazione e accettazione...

psylo said...

il punto è esattamente l'essere spiati, la consapevolezza che qualcun'altro osservi e sappia.

Alla fine è questo che dovrebbe conferire al blog la dimensione di dibattito in teoria. Poi in pratica si rivela un mero esercizio esibizionistico.

Ma d'altronde esibizionismo e sorveglianza sono i due aspetti principali della surveillance society, la morbosa, paranoica o sospettosa spinta ad osservare il prossimo ed al tempo stesso la volontà di esporsi allo sguardo altrui, di decostruire l'essere sorvegliati facendosi sguardo, trasformando l'osservatore in un oggetto (non piu' soggetto) dello sguardo, e blablabla